Anche quando crediamo di essere self made people, donne e uomini che ci siamo costruiti da soli, underdog, come va di moda definirsi adesso, se andassimo a scavare bene nella nostra storia individuale ci accorgeremmo che nella vita di ciascuno di noi ci sono state sicuramente delle persone, a volte apparentemente anonime, che sono entrate nella nostra vita in punta di piedi e hanno contribuito, più o meno silenziosamente e consapevolmente, a indirizzare la nostra strada, a costruire la nostra storia. Io ho incontrato 3 di questi uomini che, in momenti differenti, hanno dato il loro determinante contributo per orientare le mie scelte e determinare pesantemente chi sono io adesso. Ogni mio singolo successo professionale è fortemente legato a loro tre, ognuno, a modo proprio e senza sapere l’uno dell’altro, è stato artefice della mia vita, a ciascuno di loro devo una riconoscenza particolare.
Lo zio Angelino è la persona che per prima mi ha introdotto nel mondo della fotografia. Lui è stato per tantissimi anni il fotografo della mia famiglia, io e i miei fratelli siamo cresciuti con lui e grazie alle sue fotografie oggi possiamo leggere un pezzo importante della nostra storia familiare. I nostri compleanni, le foto ricordo da mandare ai nonni che abitavano lontano. Lo chiamavamo Zio perché era un lontano parente da parte di mia madre ed era figlio d’arte, suo padre Isidoro aveva uno studio in pieno centro a Palermo e aveva fatto dei magnifici ritratti a mia madre sin da quando era piccola. Ritratti fatti in studio, come si usava una volta, con una incredibile maestria nell’utilizzo del bianco e nero e della luce. Sì la luce, quella strana cosa che bisognava sapere usare prima di photoshop. Dallo zio Angelino ho appreso la passione per le macchine fotografiche e per la camera oscura. Io avevo 11/12 anni ed ero già alto come sono adesso quindi potenzialmente un ottimo assistente per il fotografo di cerimonia che deve tenere il flash più in alto possibile, e lo zio Angelino mi propose di andare ad aiutarlo durante i suoi servizi matrimoniali. Io accettai subito con grande piacere anche perché, come è risaputo, ai matrimoni si mangia e a me piaceva molto anche mangiare. Cominciai a seguirlo, dapprima durante le celebrazioni nunziali e poi in studio quando sistemava e soprattutto ritoccava, una per una, le fotografie. Appresi il significato della parola spuntinare e cominciai a mangiare anche io inchiostro di china per preparare le fotografie prima di essere montate sugli album. Man mano che lo frequentavo e che mi impadronivo sempre più del mestiere, e soprattutto dei mezzi che lui usava, la mia passione per la fotografia cresceva. E fu così che un giorno, all’eta di 14 anni andai a lavorare per un’estate intera in un bar di un famoso circolo del tennis di Palermo per mettere da parte i soldi che mi sarebbero serviti per acquistare la mia prima macchina fotografica. Non avendo un padre che mi poteva regalare la sua Leica era l’unica alternativa a mia disposizione (a proposito di underdog). Per diversi anni continuai a lavorare con lo zio Angelino e con il figlio Marcello e poi con altri fotografi di cerimonia ma nel frattempo con la mia Yashica cominciai a sperimentare e in qualche caso anche a lavorare. Già a 17 anni, quando ero ancora al liceo, cominciai a fare le foto ricordo nelle classi come si usava una volta, prima dell’avvento delle barbare regole sulla privacy. Dopo il diploma frequentai per qualche tempo l’università, poi andai a fare il servizio militare e alla fine, a 23 anni, mi iscrissi ad un corso di formazione professionale per fotografi dove incontrai la seconda persona della mia vita.
Alcuni amici mi avevano parlato di un interessante corso di formazione professionale per fotografi, avevo appena finito il servizio militare e dopo un anno di guardie passate spesso a leggere libri di fotografia, quei pochi che mi potevo permettere di comprare, decisi di iscrivermi, più per occupare il tempo forse che per altro. In realtà il mio massimo desiderio sarebbe stato quello di studiare per fare il giornalista ma all’epoca non c’era l’offerta formativa di adesso quindi dovetti rinunciare al mio sogno. Il corso invece era un buon modo per tenermi impegnato e conoscere gente nuova. Alla fine forse non ho imparato tanto di più rispetto a quello che conoscevo da autodidatta ma le cose non vanno valutate solo per questo. La cosa più importante fu infatti l’avere conosciuto una grande persona, il mio docente di fotografia, Pietro Ales. Pietro è un architetto e storico dell’arte, anche bravo fotografo ma soprattutto una persona incredibile, capace di parlare di tantissimi argomenti con consapevolezza e profonda conoscenza. Con lui crescevi come uomo più che come fotografo, eravamo tutti affascinati dal suo modo di comunicare e attratti dalle sue conoscenze che spaziavano a 360 gradi. Due episodi però hanno influito maggiormente sulla mia formazione. Il primo risale al periodo di frequenza del corso, un momento in cui io avevo deciso di mollare tutto e cercare un lavoro qualsiasi. Sentivo profondamente l’esigenza di rendermi autonomo, desideravo fare il fotoreporter, volevo viaggiare, volevo conoscere ma per questo servivano soldi e io non avevo la possibilità di realizzare i miei desideri. Avevo già trovato un lavoro, un locale dove fare il cameriere la sera per riuscire a mettere qualche soldo da parte e poter progettare qualcosa da realizzare con le mie sole forze. Un giorno, in uno dei momenti di grande smarrimento Pietro mi prese da solo, mi guardò negli occhi e mi disse: “se molli adesso molli per sempre, non andare a lavorare al bar, sarebbe la fine di un sogno. Devi resistere e credere nel tuo sogno.” Non so cosa avesse visto lui in me, forse qualcosa che neanche io ero capace di vedere, ma sicuramente fu molto convincente e io rinunciai al mio progetto lavorativo da cameriere. Passarono pochi mesi e alla fine del corso ancora una volta Pietro mi destabilizzò con una sua proposta. “Stiamo aprendo uno studio con Ezio, Giuseppe e altri, ti va di entrare anche tu nel gruppo?” A quell’età, 24 anni, senza arte né parte, senza una lira in tasca quando il tuo maestro ti fa una proposta del genere ti fai tante domande, hai tantissimi dubbi ma hai dentro anche un’incredibile energia e voglia di fare che non puoi dire di no. Ti lanci nel vuoto, non sai cosa farai, non sai come pagherai le spese per la condivisione dello spazio ma la sua parola vale più di tutto, la sua proposta vale oro e non puoi rifiutarla. Così mi imbarcai in quell’avventura. Oggi posso dire che ho fatto bene. Dopo alcuni mesi infatti, grazie al fatto che io stavo dentro quel gruppo di condivisione e potevo usufruire di una camera oscura, si verificò l’occasione di presentarmi al Giornale di Sicilia per propormi come collaboratore dell’inserto settimanale Gio 7, un giornale nel giornale realizzato tutto da giovani apprendisti giornalisti e fotoreporter. Quello fu l’inizio di un lungo percorso durato oltre 30 anni e che da Gio 7 mi ha portato a lavorare per l’agenzia di stampa più grande e prestigiosa al mondo, la Reuters. Chi lo avrebbe mai detto, una sera stavo per mollare tutto e fare il cameriere e un amico invece mi prende di peso e mi rimette sulla strada giusta dove poi tutto si è concretizzato superando anche i miei possibili sogni e desideri. Grazie Pietro. Era il 1989, cominciai a lavorare per il GDS e contemporaneamente inviavo le mie fotografie ad una piccola agenzia di distribuzione fotografica, l’Agenzia Sintesi, che vendeva ai maggiori quotidiani e magazine italiani e stranieri. Questa collaborazione era cominciata per caso, con mia grande incredulità ma in realtà loro erano veramente bravi, vendevano tante delle foto che io mandavo da Palermo e dalla Sicilia e questo mi incoraggiava a continuare a produrre sempre di più muovendomi da una parte all’altra dell’isola. Investivo tutti i miei guadagni in rulli e sviluppi, e soprattutto nel cambiare la mia attrezzatura fotografica e passare, finalmente dalle care Yashica e Contax alla più prestigiosa Nikon F3. Ricordo come fosse oggi il giorno in cui tornai a casa con la scatola dorata di quella macchina favolosa, mi sentivo un grande fotografo anche se non lo ero affatto, ma come si dice “L’abito fa il monaco”, a volte. Le cose cominciavano ad andare bene e questo mi incoraggiava molto a continuare su quella strada non sapendo ancora che da li a poco in Sicilia sarebbe successo qualcosa di terribile che però avrebbe catapultato Palermo sulle pagine dei giornali di tutto il mondo e il lavoro sarebbe aumentato a dismisura. Fu proprio il 1992 che generò un ulteriore cambiamento nella mia vita e questa rivoluzione arrivò ancora una volta grazie ad una persona, un altro uomo silenzioso che ha scritto una parte della mia vita.
Era il 1991 e l’Etna, la montagna, comincia a borbottare innescando un’eruzione destinata a durare un paio di anni. Chiaramente io andai a seguire l’evento sebbene fossi assolutamente sprovveduto. Non avevo esperienza di montagna né tantomeno di eruzioni ma come succede in questi casi “si parte perché voglio esserci”, perché i giornali ne parlano e le foto si vendono, e perché prima o poi in qualche modo l’esperienza bisogna farla. Passavo le giornate in montagna e poi, ad una certa ora scendevo per andare a sviluppare le diapositive da inviare all’agenzia. Come punto d’appoggio a Catania usavo andare nello studio di Salvatore Ragonese, detto Turi, un grande fotografo di cronaca che aveva costruito una sua agenzia che copriva tutti gli eventi di cronaca prevalentemente della Sicilia Orientale e che collaborava con L’ANSA, con L’Associated Press, e con la Reuters. Insomma lavorava per tutti, per la concorrenza, ma questo in quegli anni era molto normale, soprattutto in realtà di periferia come la Sicilia. Durante le mie visite presso lo studio di Turi io ero sempre molto rispettoso, educato, poco invadente, insomma mi facevo i fatti miei e cercavo di disturbare meno possibile. Forse sarà stato questo che Turi ha apprezzato di me, la serietà, il rispetto e non essere uno sbruffone. Non so dirlo esattamente ma sta di fatto che un giorno, qualche settimana dopo il 23 maggio, ricevo una telefonata da Turi, che con la sua voce roca da basso lirico, che un poco metteva in soggezione, mi dice: “Tony, la Reuters sta cercando un fotografo collaboratore a Palermo, magari non si lavora tanto durante l’anno ma pagano bene e soprattutto offrono tanta visibilità perché le foto di Reuters girano per i giornali di tutto il mondo. Io ho fatto il tuo nome, ti va di collaborare con loro?” Io non potevo credere alle mie orecchie, mi va? Ma certo che mi va! Stavo facendo salti di gioia e cercavo di mantenere un contegno per non farmi scoprire. Non so perché lui fece il mio nome nonostante fossi tra i più giovani e meno esperti fotografi di quel momento a Palermo ma so con certezza che quella sua proposta, quel suo suggerimento alla Reuters segnò un altro piccolo ma grandissimo cambiamento la mia vita. Dalla strage del 19 luglio cominciai attivamente a collaborare per la Reuters, mi dotarono di una macchina per inviare foto via telefono, la telefoto, e cominciai a fotografare per loro ed avere le mie fotografie pubblicate sui giornali di mezzo mondo. Una collaborazione che durò tanti anni e che mi portò a diventare membro dello staff di Reuters nel 2003. Mi trasferii a Roma e viaggiai per 16 anni in giro per il mondo seguendo importanti eventi di cronaca, eventi sportivi e soprattutto tre Papi, alimentando il mio archivio di foto di grandi personaggi e di eventi storici. Insomma, Turi come Pietro e lo zio Angelino sono state tre scintille che hanno innescato tre momenti importantissimi della mia vita e ai quali devo tutto quello che oggi sono e ho fatto. Nessuno dei miei successi professionali sarebbe stato possibile senza questi tre uomini, maestri, amici. Per questo io oggi voglio ringraziarli, per tutto quello che hanno fatto per me disinteressatamente e forse senza neanche saperlo. Voglio ringraziarli per la mia vita, perché voi siete stati la mia vita.
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